Le settimane che stiamo attraversando sono drammatiche. E lo sono sul fronte prima di tutto sanitario, poi economico (mondo del lavoro fatto di imprese, commercianti, liberi professionisti) e anche sociale, conseguenza inevitabile di ogni genere di crisi.
Ho già fatto notare in un mio precedente articolo come sia in arrivo un periodo di sviluppo infrastrutturale. E questo è vero, lo vedremo. Il punto è che però questa riscossa avverrà in seguito alla crisi senza precedenti che stiamo vivendo. La sensibilità sulla necessità della crescita economica, raggiungibile solo con gli investimenti pubblici stava già crescendo ed è stata ora solo accelerata dal Covid-19 che adesso mette davvero il paese con le spalle al muro e di fronte ad un bivio: o crescita o recessione. Non c'è più la terza via: l'annacquata stagnazione. Siamo nella tipica situazione di chi sa (o dovrebbe saper) tirare fuori il meglio di sé nei periodi più duri. Abbiamo bisogno dell'acqua alla gola per renderci conto che dobbiamo uscire dal pericoloso mare mosso. Il Governo ha dichiarato che è in arrivo un piano di investimenti senza precedenti che metterà in movimento qualcosa come 350 miliardi di euro (che ovviamente aumenteranno ancora il nostro debito pubblico), quasi il 20% del Pil nazionale. Anche se bisognerebbe spiegare agli italiani due cose: la prima è che non basta dichiarare. In media solo il 20% dei denari stanziati sono poi effettivamente spesi. Troppo poco. E secondo, che il “modello Genova” (Ponte Morandi), ha beneficiato di tre variabili che non si verificheranno nei prossimi cantieri commissariati, che quindi saranno più lenti nella loro realizzazione: nel caso di Genova non servivano autorizzazioni perché il ponte era crollato e andava ricostruito, il concessionario (Aspi) doveva rimborsare l’opera e il progetto è inoltre stato donato (da Renzo Piano).
Nel frattempo però il comparto dei cantieri sta entrano in una crisi asfissiante. E' l'Ance (Associazione Nazionale Costruttori Edili) con il suo presidente Gabriele Buia a rilevarlo: «la maggior parte dei cantieri ha chiuso o sta chiudendo». Dall'estremo Nord all'estremo Sud siamo sull'ordine del 70% dei cantieri a rischio. Il tunnel del Brennero, l'AV Napoli - Bari, l'anello ferroviario di Palermo, il Terzo Valico e l'AV Brescia - Verona sono alcuni dei più importanti cantieri sospesi. Vanno a scartamento ridotto la linea C della Metropolitana di Roma e l'AV Torino - Lione. Il Ponte di Genova e il Mose di Venezia vanno invece avanti. Il governatore della Lombardia Fontana ha richiesto la chiusura di tutti i cantieri. Il paradosso è il seguente: le imprese rischiano di essere perseguite penalmente se portano avanti un cantiere senza che vi siano le condizioni di sicurezza previste dai Dpcm emanati ma allo stesso tempo se chiudono i cantieri il rischio è di dover pagare i danni alla pubblica amministrazione per l'interruzione dei lavori. «Noi non vogliamo chiudere i cantieri perché dopo 15 anni di crisi, chiuderli potrebbe significare chiudere l'impresa per sempre. Al tempo stesso la salute dei nostri lavoratori è la priorità assoluta», continua Buia. Non solo. E' difficile inoltre trovare le imprese che sanifichino i cantieri (l'80% delle segnalazioni denunciano l'impossibilità di reperire dispositivi di protezione individuale come le mascherine) e che forniscano i materiali come ferro e calcestruzzo perché le fabbriche sono state chiuse (77%). Il 73% denuncia la difficoltà nel far rispettare la distanzia minima di sicurezza di un metro.
Sono per fortuna arrivate alcune linee guida da parte del Mit che spiegano:
Gli obblighi di informazione
Le modalità di accesso dei fornitori esterni
Le modalità d'uso dei dispositivi di protezione
La gestione degli spazi comuni
L'organizzazione del cantiere
Possibili rimodulazioni dei cronoprogrammi
Le circolari ministeriali hanno un'applicazione diretta su Fs e Anas che sono sotto il controllo del ministero ma non su altre stazioni appaltanti. «Purtroppo questo non basta. Il governo deve concederci lo stato di causa di forza maggiore», aggiunge Buia. Spagna e Francia hanno già classificato il Coronavirus come causa di forza maggiore e hanno bloccato i cantieri. Questa norma darebbe chiarezza: se ci sono le condizioni si lavora, altrimenti si chiude senza pagare penali. L'Ance fa inoltre notare come molte imprese hanno rischiato di doversi rivolgere ai giudici per non "pagare i ritardi" proprio mentre i tribunali chiudevano: «sempre sull'impresa si scaricano le contraddizioni».
Stefano Guarrera