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UN'ARENA DI CONFRONTO: Matteo Renzi:«Il Pd con Teresa Bellanova avrebbe stravinto in Puglia».
In Italia, si sa, le decisioni da prendere alle urne fanno sempre molto discutere. E il voto del 20 e 21 settembre è ormai alle porte. Cerchiamo allora di capire il significato delle elezioni e del referendum costituzionale che ci aspetta. L'importanza di questi eventi non è da trascurare dal punto di vista politico.
Innanzitutto le elezioni amministrative e regionali: andranno al voto più di 1000 comuni italiani. Alcuni di questi, sono centri importanti come Venezia, Trento, Bolzano, Matera e Reggio Calabria. Non solo. La partita più grossa si giocherà infatti per la conquista delle regioni. C'è chi pensa siano un test per il governo e chi no. Sono 7 le regioni in cui i cittadini dovranno esprimersi per la scelta del candidato presidente, della giunta e dell'assemblea. Alcune di queste sono considerate strategiche perché più popolose di altre o a motivo di una tradizione politica storica. Si voterà in Valle d'Aosta, Liguria, Veneto, Toscana, Marche, Campania e Puglia. In particolare, i riflettori sono puntati sulla Toscanache è centro del dibattito politico. Come accaduto per le elezioni in Emilia-Romagna dello scorso gennaio 2020.
In Valle d'Aosta correrà Augusto Rollandin come candidato presidente di Union Valdotâine. Rollandin, che deve fare i conti con l'ascesa salviniana, è stato più volte presidente della piccola regione settentrionale. In Liguria e Veneto, secondo i sondaggi, i cittadini paiono voler confermare gli attuali presidenti di regione di centro-destra. Toti in Liguria ha dovuto gestire le conseguenze della tragedia del Ponte Morandi mentre Zaia in Veneto ha tenuto sotto controllo il dilagare della pandemia da Covid-19 nella sua regione. Il leghista sembra incontrastabile: gode di amplissimi consensi. Nelle Marche, regione tradizionalmente a sinistra, è in vantaggio il candidato di centro-destra Acquaroli.
Per quanto riguarda la Toscana, la parola più usata oggi per descriverla è "contendibile". Spesso si sente dire che "la Toscana oggi è contendibile". Che significa? Come l'Emilia-Romagna, la Toscana è una regione tradizionalmente di sinistra. Ma corso comune di questi ultimi anni è stata l'avanzata nei consensi del centro-destra che ha messo a rischio la tenuta della sinistra. In molti importanti centri urbani toscani si sono infatti installate giunte di centro-destra come successo a Prato, Pistoia, Siena e Pisa. Se prima la vittoria del centro-sinistra in Toscana era scontata, oggi la regione è contendibile dal centro-destra. Ceccardi (Lega) tallona Giani (Pd).
Nelle due fondamentali regioni del centro-sud che vanno al voto la situazione è invece diversa: come per Zaia in Veneto, De Luca (Pd) è molto popolare tra i campani e non solo, complice anche il carattere istrionico del governatore. A meno di ribaltoni Caldoro non lo insidierà eccessivamente. La Puglia poi è da tempo al centro di parecchi temi caldi come Tap e Ilva. È in corso un testa a testa tra Fitto (centro-destra) ed Emiliano (centro-sinistra), presidente uscente.
Colpiscono certamente le alleanze costituitesi. Renzi, con la sua Italia Viva, non sosterrà Emiliano in Puglia (per contrasti con il governatore) e Sansa in Liguria, unico esempio di un'alleanza più strutturale anche nel territorio tra Pd e M5s, che governano il Paese. Nonostante l'alleanza, Toti è in vantaggio. Il patto tra Pd e M5s al governo non può facilmente essere replicato sui territori. Questo perché i due partiti si sono dati battaglia negli anni e alcuni confronti sono diventati emblematici. Pensiamo al caso Roma, con la sindaca Raggi. È verosimile che Puglia, Campania e Toscana vadano alla sinistra mentre Valle d'Aosta, Veneto, Liguria e Marche alla destra. Staremo a vedere.
E poi c'è il referendum, tema scottante che suscita dibattiti sempre coinvolgenti in Italia. Questa volta i cittadini di tutta Italia saranno chiamati ad esprimersi sull'approvazione o il respingimento della legge di revisione costituzionale dal titolo "modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari". Come per ogni cosa, anche sul referendum di questo difficile 2020, si potrebbero delineare dei pro e dei contro. Una considerazione appare condivisibile: comunque vada non si verificherà un'Apocalisse. Innanzitutto è necessario ricordare che il testo della legge è stato condiviso e approvato da una amplissima maggioranza dei partiti in Parlamento. La riduzione del numero dei parlamentari è un obiettivo che da tempo in molti si prefiggono.
Questa volta però la revisione della Costituzione riguarderà solo 3 articoli: è un intervento mirato. Proprio quest'aspetto costituisce una medaglia dalla doppia faccia: perché se può costituire un primo passo per una serie di altri interventi mirati e circoscritti sulla Costituzione, senza inglobare altre modifiche magari non condivisibili, rischia però di mancare di quelli che sono chiamati "pesi e contrappesi", di essere monco e quindi peggiorativo delle condizioni attuali.
Su un punto c'è vasto accordo: il referendum sul taglio dei parlamentari non è stato indetto per il risparmio di risorse pubbliche. L'eventuale esiguo risparmio di denaro costituirebbe solo una conseguenza positiva. Non può essere il movente per il semplice fatto che il risparmio è estremamente limitato: una democrazia inefficiente ci costa molto di più di qualche parlamentare in più.
Alcune considerazioni critiche sulla rimodulazione della Camera dei deputati (da 630 deputati a 400) e del Senato della Repubblica (da 315 senatori a 200) riguardano certamente la minore rappresentatività delle camere nei confronti del Paese. Si passerebbe da poco più di 60.000 abitanti per parlamentare a 100.000. Alcuni territori potrebbero soffrire la mancanza di rappresentanza. Inoltre c'è la mancanza di una nuova legge elettorale affiancatagli. Gli stipendi dei parlamentari non sono stati inoltre modificati. L'aspetto che riguarda la selezione dei candidati è invece un chiaroscuro: con meno parlamentari si privilegerà l'ingresso dei soliti volti noti (clientelismo) o invece si alzerà l'asticella della qualità del parlamentare? Sono due scenari entrambi possibili.
Un ultimo argomento, non certamente per importanza però, sarebbe poi la questione del bicameralismo. Il bicameralismo perfetto rimane: le due camere rimangono e rimangono con le stesse funzioni. Conseguenza: a parlamentari ridotti, pochi elementi assicurano un processo decisionale più veloce, che è poi il primo motivo che dovrebbero addurre i fautori del si a parere di chi scrive. Se i 600 parlamentari rimanenti fossero stati accorpati in una sola camera il discorso sarebbe cambiato non di poco.
E dunque arriviamo anche ad alcune considerazioni favorevoli nel merito, che traggo da Antonio Polito, vicedirettore del Corriere della Sera. Con un referendum approvato, si potrebbero discutere le leggi in commissioni permanenti che non siano composte da 50 persone, ma di meno, il che potrebbe aiutare visto che mettere d'accordo molte teste è più complicato che metterne d'accordo poche. Si potrebbe restituire all'intervento in aula un valore che ha perso: potrebbe esserci più tempo per esprimersi e l'intervento acquisirebbe un altro spirito. La possibilità quasi futuristica di prevedere sedute congiunte delle due camere è la ragione di certo più affascinante. E proprio questa possibilità potrebbe mettere una pezza alla lentezza del bicameralismo.
Un approccio corretto potrebbe essere domandarsi minimalisticamente: è giusto ridurre il numero dei parlamentari da 945 a 600? Deve seguire una risposta precisa e mirata a tale domanda considerando il numero dei cittadini italiani. Stop. Perché, e cito Polito: «il benaltrismo è il contrario del riformismo: se una cosa è giusta non smette di esserlo solo perché ce ne sarebbero altre dieci giuste da fare».
Il “si” è dato in vantaggio, ma niente è già scritto. Ecco alcune delle ragioni favorevoli e contrarie al referendum. Buon voto a tutti noi cittadini. Quando si va alle urne è sempre una festa per la democrazia.
Stefano Guarrera