20/01/21
Il day after della conta in Senato è certamente momento di analisi. La crisi di governo scoppiata la settimana scorsa tra il partito Italia Viva e il governo Conte II è solo l’ultima nella storia della Repubblica italiana. C’è però, com’è risaputo, una grande differenza rispetto agli strappi passati: la pandemia. Per l’Italia è un momento delicatissimo. E non solo perché continuiamo a registrare migliaia di contagi e centinaia di morti al giorno nel nostro Paese (siamo in “stato di emergenza”, come decretato dal governo) ma anche perché sono due le grandi direttrici su cui non sono permessi passi falsi: il piano vaccinale e il Recovery Plan.
Ecco perché per molti opinionisti ma anche per molti italiani la rotta tra Conte e Renzi è incomprensibile. La maggioranza dei cittadini sembra infatti essere dalla parte di Conte, complice anche la lunga e controversa carriera politica di un Renzi che si è sempre scagliato contro tutti e che perciò possiede molti nemici o avversari. È dunque necessario partire proprio da una differenza fondamentale tra il professore e il rottamatore, per capire l’attuale crisi di governo. Il designato dal M5S è ancora una figura nuova della politica, una figura che si è trovata a gestire il più grande dramma del Paese da 75 anni. E tutto sommato, lui e il suo esecutivo meritano una sufficienza nella gestione sanitaria. Dall’altra parte, Renzi ha talmente influenzato la storia recente della politica italiana che il giudizio sui suoi errori passati (come la personalizzazione del referendum costituzionale del 2016) grava come un macigno per l’opinione pubblica, influendo anche sulla presente crisi.
Le comunicazioni del premier Conte in Senato che riferisce sulla situazione politica in atto. Attorno, la squadra dei ministri.
Nella lettera ufficiale inviata da Italia Viva, partito del senatore fiorentino, al governo, ratificante le dimissioni di due ministre e un sottosegretario si fa riferimento a 3 problemi: 1) il mancato rispetto delle procedure parlamentari, come la legge di bilancio 2021 arrivata in extremis alle camere, 2) una politica di rinvii o comunque una mancanza di politica di lungo periodo e 3) un non sufficiente miglioramento del Recovery Plan. A tutto ciò si potrebbe aggiungere un quarto punto non proprio marginale: il Fondo salva stati (MES). In Italia l’ammontare di 36 miliardi di prestiti per la sanità è uno degli argomenti più scottanti in politica da mesi e vede ancora oggi una posizione antitetica di molte forze politiche tra di loro, che su questo tema sono divise persino dai rispettivi alleati. M5S contro Pd e Iv, Lega e FdI contro FI. Si potrebbe dire che è la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Il Recovery Plan, ovvero la lista di progetti da presentare all’Ue che beneficeranno dei 209 miliardi di prestiti e sussidi, è un altro punto centrale per Renzi. «È un’occasione storica, che non abbiamo mai avuto e che non riavremo» è solito affermare il senatore fiorentino. Ecco il motivo di tanta insofferenza verso una bozza che è stata ritenuta da bocciare in maniera categorica. Italia Viva ha ottenuto un raddoppio sui fondi sulla sanità ma pare non essere bastato. Inoltre, l’ex premier critica continuamente misure come il Reddito di cittadinanza o la politica dei bonus, promosse dal governo. Insomma, i malumori c’erano già e sono venuti completamente a galla.
Renzi interviene in aula rivolgendosi direttamente al presidente del consiglio.
Ecco che l’atto di dimissioni di Bellanova (ex ministra dell'agricoltura) e Bonetti (ex ministro della famiglia) dalla squadra dei ministri però, compromette indubbiamente i lavori del governo in un momento così delicato. Un governo già debole, si ritrova a perdere pezzi, costretto a spendere tempo prezioso per cercare voti in Parlamento piuttosto che per continuare a lavorare sui progetti da presentare in Ue. La politica è fatta di compromessi. Si sa che in un dialogo tra forze diverse non si può ottenere tutto. Renzi ritiene che Conte abbia dato troppo poco ascolto alle idee del suo partito. Questo è in ultima analisi il punto centrale della questione.
Si arriva a ieri e l’altro ieri con la parlamentarizzazione della crisi. Il premier Conte ha ribadito le linee guida del suo mandato alle camere cercando la fiducia della maggioranza dei parlamentari. Alla Camera dei Deputati sono arrivati 321 “si” (27 gli astenuti, 259 i contrari) a certificare la presenza di una maggioranza assoluta. Al Senato della Repubblica, dove si è verificato anche il botta e risposta a quattr'occhi tra Renzi e Conte, sono arrivati 156 voti favorevoli, 16 astenuti e 140 contrari. Il che significa solo una maggioranza relativa. Alcuni parlamentari, prima all’opposizione, hanno deciso di fare da “stampella” al governo per evitare una vera crisi che causando una stasi dei lavori di governo per settimane, sarebbe deleteria. Sono i famosi “responsabili” o “costruttori”, che qualcuno prima chiamava “voltagabbana”. Il governo si ritrova indebolito ma per adesso può continuare; nel frattempo il presidente della Repubblica Mattarella segue con attenzione gli sviluppi della vicenda.
Chi ha vinto la partita? Potremmo dire che non siamo ancora al triplice fischio finale. È in vantaggio l’esecutivo con un Conte che prosegue con la terza diversa maggioranza. «Avete scelto la strada dell’aggressione» ha dichiarato. Staremo a vedere come finirà.
Stefano Guarrera